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Edizioni Omega Omega Scuola

Dislessia, scelte scolastiche e formative

Stella Giacomo - Gallo Daniela

ISBN 9788872414859
Anno di pubblicazione 2005
Volume di 78 pagine, formato 15 x 21

PREZZO:
€ 15.00
Descrizione

Da oltre trent’anni in cui si è intensificata la ricerca sui disturbi specifici di apprendimento (D.S.A.) ed in particolare sulla dislessia evolutiva (D.E.), cioè sul disturbo che emerge all’inizio del processo di scolarizzazione in soggetti che non abbiano patologie o traumi a cui riferire il deficit, non esiste ancora unicità di vedute.

Si pensò infatti che la causa dei D.S.A. e della D.E. fosse riconducibile ad unico fattore che potesse spiegare tutte le caratteristiche del disturbo.

È solo in questi anni che questa idea è stata messa in crisi. Negli anni ’70 e ’80 soprattutto, si è abbandonata l’idea della dislessia evolutiva come disturbo prevalentemente visuo-spaziale, per accreditare sempre di più alla base del disturbo, i fattori linguistici (negli aspetti ricettivo ed espressivo, o in componenti metafonologiche o nella memoria verbale a breve termine) e i fattori fonologici nelle componenti di consapevolezza fonologica (Bradley, Bryant, 1985) di memoria fonologica e di accesso alle informazioni fonologiche.

Orientamenti che hanno postulato, come causa dei diversi sintomi i fattori emotivo relazionali, e orientamenti che hanno ipotizzato difetti posturali o dello schema corporeo. È possibile notare ancora oggi un certo grado di accordo tra i ricercatori nel ritenere vera l’ipotesi di una relazione tra la D.E. e il disturbo di linguaggio (Snyder, Downey, 1991).

Ancora oggi si tende a diagnosticare i bambini con D.E. seguendo il criterio della differenza tra Q.I. e prestazione in lettura.

Stanovich (1994) sostiene che anche se nella ricerca è forse più conveniente utilizzare tale criterio per ridurre le variabili in esame, non è lo stesso per ciò che riguarda l’ambito clinico. In tal modo, infatti, si esclude la possibilità di considerare un disturbo specifico di lettura non relato al livello intellettivo e che può essere presente anche in soggetti con R.M.

D’altra parte, a tutt’oggi, non è stata ancora apportata alcuna prova su differenze anatomiche, neuropsicologiche, cognitive tra cattivi lettori e Q.I. alto e cattivi lettori con Q.I. basso.

Diversi studi sull’argomento (Siegel, 1992), riconoscono che la discrepanza tra Q.I. e prestazione in lettura non è necessario per spiegare la specificità dei deficit della D.E. Stanovich riscontra, invece, la specificità del disturbo nella lettura di non parole che sostiene essere uno dei più validi indicatori diagnostici.

Quindi i sintomi caratteristici del disturbo sarebbero da collocare ad un livello basilare, nel processo di codifica fonologica. Ciò viene sostenuto anche dagli studi genetici.

Le conclusioni di tali studi sostengono che le difficoltà nel leggere una singola parola, o non parola, è condizionata geneticamente e in modo indipendente dal Q.I.

Vi sono anche dati che provengono da studi su gemelli mono e dizigoti che confermerebbero il ruolo del fattore genetico nella D.E. Un altro dato a sostegno di un ipotesi genetica sarebbe la differente incidenza del disturbo in soggetti maschi e femmine (4:1) che spiegherebbe il deficit come carattere legato al sesso.

Inoltre sembra che una delle più frequenti cause del disturbo sia la familiarità, cioè la presenza del disturbo anche in uno dei membri della famiglia. Il 65% dei casi D.E. si registra familiarità per lo stesso disturbo (Stella, e altri, 1997).

Un secondo approccio, più di tipo connessionista, ipotizza un’architettura di sviluppo che potrebbe spiegare i dati relativi alle osservazioni cliniche. Secondo tale prospettiva, l’apprendimento delle abilità che sottostanno al processo di lettura, può essere considerato come la risultante dello sviluppo di specializzazioni funzionali che si conclude con una modularizzazione. L’architettura formulata da questo approccio, prevederebbe all’inizio dello sviluppo una minore differenziazione. Se il danno esiste già prima che la capacità si sia sviluppata e specializzata, quindi se è genetico, allora si riscontrerà che il deficit all’inizio dello sviluppo sarà diffuso, e sarà con il delinearsi della struttura modulare che emergeranno profili in cui vi saranno abilità nettamente deficitarie rispetto ad altre. Quindi, non si contesta l’organizzazione modulare ma si ipotizza la possibilità che siano coinvolti i processi di codifica in generale e non uno in particolare (Stella, 1996).

A sostegno di questa ipotesi, come abbiamo detto, ci sarebbero riscontri clinici ad evidenziare che la maggior parte dei disturbi specifici di apprendimento di origine genetica si presentano a grappolo (dislessia associata a disortografia e discalculia) principalmente durante i primi anni di scolarizzazione (Badian, 1983; Rourke, 1989).

Il libro, oltre a specificare queste tesi ne evidenzia i contenuti ed induce ad un approfondimento concettualmente, molto positivo per le scelte didattiche o riabilitative, nel progetto scolastico.

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